Published On: 2 Agosto 2025
don Giuseppe Bandini

* | + Roma, 02/08/2025

Annuncio

La comunità salesiana "Sant'Artemide Zatti" e la Circoscrizione Salesiana “Sacro Cuore” – Italia Centrale

annunciano che HA RAGGIUNTO LA CASA DEL PADRE

GIUSEPPE BANDINI salesiano presbitero

69 anni di vita religiosa 62 anni di ordinazione presbiterale morto il 2 agosto 2025 a 96 anni d’età

FUNERALI lunedì 4 agosto - h. 9,00 – Cappella Sant’Artemide Zatti Roma

La salma attenderà la resurrezione nella tomba dei Salesiani nel Cimitero di Collesalvetti (LI)

Biografia

Omelia

di Don Roberto Colameo

Carissimi confratelli,

per il salesiano la morte è vista nella luce della realtà apostolica della sua vita. Egli spera di sentirsi dire: "Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore" (Mt 25, 23). È questa l'assicurazione stessa di Don Bosco, che parla ai suoi confratelli del premio che è loro riservato e indica il Paradiso come il luogo di appuntamento per i suoi figli, la meta a cui tende tutto il lavoro, il momento del riposo. È quello che crediamo per don Giuseppe, che si presenta davanti al buon Dio con 96 anni di età, 69 di professione religiosa e 62 di ordinazione presbiterale. Oggi ci troviamo a celebrare la Liturgia Esequiale nel giorno in cui la Chiesa ricorda San Giovanni Maria Vianney; il Curato d’Ars e la PdD ci aiuta ad entrare nel “mistero” che celebriamo “Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati”. È difficile per Gesù schermarsi dalla gente. Costantemente viene cercato dalle folle per una sorta di attrazione misteriosa. Eppure Gesù cerca di evitare in tutti i modi di farsi pubblicità, di attirare l’attenzione su ciò che non conta. La sua persona non deve mai essere fraintesa come un semplice taumaturgo o uomo dagli effetti speciali. Gesù non vende un prodotto ma svela l’essenziale di ogni cosa. Ecco perché perde molto tempo a parlare alle folle, a insegnare loro, a imprimere in essi una logica nuova, una mentalità diversa. La buona notizia del Vangelo esige pazienza per essere annunciata e appresa, e Gesù sa bene che il Vangelo si rivolge soprattutto a chi soffre e a quella parte fragile della nostra vita che rimane in ostaggio del male. È troppo poco però pensare che Gesù si limiti a una compassione di tipo orale, discorsiva, astratta. La sua compassione è di una concretezza estrema, e il Vangelo di oggi ce ne dà una dimostrazione eclatante: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare»”. Credo che la vera professione di fede si giochi su questa parola di Gesù. Credere non è solo sapere delle informazioni corrette su Dio. Credere è essere convinti che la fede prende sul serio i bisogni concreti delle persone. La fede non è una rassicurazione psicologica a basso prezzo, ma è un fatto che mi corrisponde concretamente a ciò che io sto vivendo in questo momento. I discepoli devono così imparare che annunciare il Vangelo significa far diventare quanto più concreto possibile questo annuncio affinché raggiunga le persone nella fattualità della loro vita e non nella semplice consolazione di circostanza. Ecco allora in sintesi il messaggio della PdD: La sua compassione è di una concretezza estrema, Gesù svela l’essenziale della vita! Credere è essere convinti che la fede prende sul serio i bisogni concreti delle persone.

Rileggendo la vita di don Giuseppe possiamo verificare quanto sia stata composta di concretezza estrema e di prendere sul serio i bisogni delle persone. Don Giuseppe nasce il 9 marzo 1929 a Firenze da papà Giovanni e mamma Ottavia Munari. La famiglia è composta dai genitori, Giuseppe e due sorelle. Ad oggi non abbiamo potuto neanche sapere se almeno una delle due sorelle fosse in vita. Viene battezzato e frequenta la Parrocchia di San Iacopino a Firenze nella zona di Porta al Prato. Conosce i salesiani attorno al 1952 a Borgo San Lorenzo e lì compie l’Aspirantato continuando a studiare anche all’università degli studi di Firenze nella quale frequenta la Facoltà di Medicina e Chirurgia. Il 14 agosto 1954 entra nel Noviziato di Varazze. Giuseppe entra in Noviziato già abbastanza grande e la sua domanda di ammissione rispecchia questa sua maturità e chiarezza di scopi così scrive: “Intendo che tale domanda abbia un triplice scopo: la mia salvezza spirituale; la salvezza delle anime che mi sarà dato di incontrare nella mia vita e il raggiungimento della sacra Ordinazione Sacerdotale”. Emette la prima professione nei salesiani di don Bosco a Varazze il 16 agosto 1955: tra pochi giorni avrebbe festeggiato il 70° anno di professione religiosa. Si trasferisce quindi a Roma San Callisto per un anno di studio della Filosofia e nell’anno successivo inizia il tirocinio prima a Firenze Istituto e quindi a Borgo San Lorenzo nell’anno 1958/1959. Gli scrutini trimestrali di questo periodo a Borgo San Lorenzo lo descrivono di “attitudini buone sia per la scuola che per la musica e l’oratorio, con una pietà buona, regolare nella vita comune, niente di particolare che lasci a desiderare nella osservanza dei voti” e per quanto riguarda il temperamento…. “qualche impulsività”! Il 1° luglio 1960 emette la Professione perpetua nei Salesiani a Bollengo, presso l’Istituto teologico Sant’Anselmo, dove si è trasferito per lo studio della Teologia che proseguirà fino al 1963. Nella domanda che presenta per essere ammesso alla professione perpetua scrive di “aver preso questa decisione con piena libertà e coscientemente” e cita a proposito il Salmo 83.11: “Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove, stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi”. I superiori che lo ammettono alla professione così lo descrivono: “Elemento serio, di buono spirito e di capacità intellettive buone. È stato osservante sempre dei voti e della vita religiosa. La responsabilità lo rende a volte un po’ nervoso”. Inoltre in un giudizio di quegli anni di studio della teologia viene detto: “coraggioso ad affrontare tutte le difficoltà della vita religiosa; confidente; lavorò in profondità

adattandosi a tutto”. Il 1° gennaio 1963 (Solennità di Maria SS. Madre di Dio) riceve il Diaconato e pochi mesi dopo, il 25 marzo 1963 (Solennità dell’Annunciazione del Signore a Maria), viene ordinato sacerdote nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino da Mons. Albino Mensa. Il suo primo incarico lo porta come assistente presso l’Istituto di Firenze per due anni. Quindi per un solo anno viene trasferito a Pietrasanta dove insegna matematica alla scuola media. Ritorna nel settembre 1968 a Firenze Istituto dove ugualmente insegnerà alla scuola media e in questa casa vivrà complessivamente 18 anni, anche dopo aver concluso il periodo dell’insegnamento. Viene trasferito per assumere l’incarico di Rettore della Chiesa pubblica a Figline Valdarno nel settembre del 1986 e svolgerà questo compito fino a settembre del 1995 anno in cui viene trasferito a Livorno con l’incarico di vicario parrocchiale. Don Giuseppe vivrà nella comunità di Livorno, assiduo nel servizio parrocchiale, per 12 anni e poi nel 2007 verrà nuovamente trasferito a Firenze Istituto ma per soli 4 anni. In questa casa, nel settembre 2011, ho l’occasione di conoscerlo solo per pochi giorni, in quanto proprio nel giorno del mio insediamento come Direttore, l’Ispettore gli comunica che visto l’aggravarsi della situazione di salute consiglia, di trasferire don Giuseppe presso la casa di Roma Sant’Artemide Zatti, dove curato e accudito vivrà per altri 14 anni. Aveva ormai perso il senso del tempo e dell’orientamento, non riuscendo molto a badare a se stesso, a Firenze alle volte i confratelli non lo trovavano più in Casa e le forze dell’ordine lo dovevano riportare in casa. Durante il viaggio… Concludo lasciandoci illuminare dal Curato d’Ars: parlava del paradiso come di uno stato di felicità suprema, un incontro con il Signore e la realizzazione delle aspirazioni più profonde dell'uomo. Per quanto riguarda la morte, la vedeva come un semplice passaggio, come un essere nella stanza accanto, senza che la relazione con coloro che restano cambi sostanzialmente. Diceva: "Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora". Quanto è difficile giudicare le persone! Perché seppure ci portiamo dentro il terreno duro, sassoso, pieno di rovi è bello scoprire che c’è anche il terreno buono dove c’è tutta l’accoglienza della Parola, del Cristo crocifisso e risorto. C’è spazio per la strada stretta e per lo sconfinamento nella luce eterna e nell’abbraccio di Dio Padre. Don Giuseppe ci fa intravvedere questa realtà complessa che è la nostra umanità ma che Dio semina, fa fiorire e produrre molto frutto. Così testimonia un caro confratello e amico di don Giuseppe: “Incontrato sedicenne a Firenze, nel tragico novembre 1966, pochi giorni dopo l'alluvione, ho visto un giovane e geniale insegnante di matematica, esperto professore e sereno educatore. Poi, trent'anni, dal 1966 al 1996 [1996 ndr] per trovarci a Livorno, dove il professore era diventato vice parroco di Livorno Sacro Cuore e preciso segretario e archivista che ha iniziato il processo ormai indispensabile in informatizzazione di tutta l'amministrazione. Il terzo incontro qui nella comunità Zatti (2011) dove l'ho raggiunto nel giugno 2023, in lungo dialogo con la malattia che l'ha portato all'incontro col Padre. Come tanti salesiani, l'ho visto vivere la consacrazione nel quotidiano. Ed ora, caro don Giuseppe, ti vorrei salutare con Tagore, con queste sue tre certezze con cui definisce la morte: "Sottile è il filo che lega la vita alla morte; ma è tenace come l'acciaio; incorruttibile come l'oro; della durezza cristallina del diamante. Arrivederci don Giuseppe. Don Tarcisio Simonelli salesiano suo amico” Davvero cari confratelli, la con i fratelli defunti si effettua, oltre che con la preghiera, anche con il vincolo permanente della carità: “Tutti comunichiamo nella stessa carità di Dio e del prossimo e cantiamo al nostro Dio lo stesso inno di gloria. Tutti infatti quelli che sono di Cristo, avendo lo Spirito Santo, formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in Lui. L'unione di coloro che sono in cammino con fratelli morti nella pace del Cristo non è minimamente spezzata. Anzi è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali” (Lumen Gentium 49). È quello che crediamo! Auguriamo fraternamente a don Giuseppe un buon viaggio verso il cuore di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e verso il cuore di Maria e per questo preghiamo. Ringrazio il direttore, Don Luigi e i confratelli della comunità, le care Suore che assistono i nostri confratelli anziani e ammalati, tutto il personale. Il grazie sincero e riconoscente diventa preghiera e invocazione di grazia e di consolazione per tutti. Così sia!